Max Hamlet Sauvage

 

Correnti artistiche del XX secolo come il Surrealismo e La Nuova Oggettività sono fortemente influenzate nella pittura di Sauvage, basata non tanto sulle innovazioni formali quanto su un nuovo modo di vedere le cose e di indagare con impeto vorace di bramosia, ma con un sentimento tragico di questa tormentata esistenza umana. Il suo realismo è drammatico nello stesso tempo. La sua realtà pittorica e scultorica convive con la fantasia in uno scenario enigmatico delle sue metafore-zoomorfiche. La sua arte evoca un sentimento nuovo.

Il nuovo artista si stacca dal mondo visibile della realtà.
Max Hamlet Sauvage è un “animale selvaggio” non facile da addomesticare. La sua poetica metafisica si nutre di un complesso intreccio di memoria personale e collettiva, di momenti associativi e razionali di ispirazione. Max Sauvage parla di “rivelazione” e approfondite letture filosofiche. L’acuta sensibilità di questo singolare artista misantropo è quella di attribuire una facoltà profetica e veggente di mito moderno con il suo segno graffiante.

E’ quello che traspare dalle rielaborative opere in omaggio a Giorgio De Chirico come compagno di viaggio (ma non per dissacrare un mito già storicizzato), intraprende un viaggio artistico della vita verso nuovi approdi, un viaggio verso l’ignoto.

Il mondo visionario di Max Sauvage assurge a metafora del proprio percorso artistico, legato alla sua storia personale contemporanea che accomuna la sostanziale visione del mondo di De Chirico e di Sauvage. E’ un amore per l’enigma che si nutre dello studio dei filosofi, da H. Nietsche a Schopenauer e Kant, da cui prende spunto una natura animata da forze misteriose perché ne subisce il fascino del caro maestro, incarnando il suo ulteriore alter ego nel racconto della propria vita.

Max Hamlet Sauvage: il dandy dell’immaginario moderno
Di Giorgio De Cesario
È curioso come certi artisti sembrino fuori tempo, ma proprio per questo perfettamente nel tempo. Max Hamlet Sauvage — già il nome sembra una citazione colta, un’operazione dadaista con venature da romanzo ottocentesco — è una figura che si muove nel panorama artistico contemporaneo come un flâneur del postmoderno, con uno spirito insieme ludico e profondamente serio, che ci obbliga a porci la più antica delle domande: che cos’è, davvero, l’arte oggi?
Le sue opere, che si muovono agilmente tra collage, pittura, installazione e provocazione visiva, sono un gioco continuo tra alto e basso, tra citazione e reinvenzione. E come ogni artista che si rispetti nel XXI secolo, Sauvage gioca con i codici della comunicazione, ma li rovescia con uno sguardo che sembra ereditare tanto da Duchamp quanto da Warhol, con un pizzico di ironia alla Rotella.
Quel che colpisce è la texture intellettuale delle sue composizioni: non si tratta solo di estetica, ma di una riflessione stratificata sull’identità, sul linguaggio e sul ruolo dell’artista nella società. La cultura pop viene decontestualizzata e rimontata, come un vecchio grammofono che suona trap, ma con l’eleganza di una sala da tè viennese.
E proprio in questo cortocircuito tra memoria e presente, Sauvage ci regala una visione del mondo che è tanto personale quanto collettiva. Come avrebbe detto il buon Walter Benjamin, si tratta di immagini che ci attraversano come lampi di riconoscimento. E in fondo, non è forse proprio questo il compito dell’arte?