Domenico Pinto opera nel suo studio d’arte, nel cuore dell’antico quartiere delle ceramiche di Grottaglie e ben
rappresenta la tradizione ceramica grottagliese ma da diversi anni, ormai, con instancabile fervore, è uscito
dalla quotidianità per reinterpretare con spirito nuovo la tradizione locale.
La produzione di oggetti di uso comune, modellati con maestria e sapienza, carica di simboli, si caratterizza
per la rigorosa ricerca formale e per la suggestione dei contenuti.
Le sue terracotte, smaltate e decorate o ingobbiate e bianchettate, ci permettono di leggere qualcosa di molto
profondo e ci trasportano in una dimensione spirituale.
A dimostrazione, invece, della rivisitazione operata da Domenico Pinto della tradizione ceramica grottagliese.
Dopo anni di ricerca e di studio, stimolati dall’incontro con lo scultore abruzzese Francesco Marino Da Piano
incontrato a Parigi e proprietario di una nutrita collezione di libri sul tanto discusso imperatore re di Napoli,
di Sicilia e di Germania, Pinto dà vita a una serie di figure del filone federiciano rappresentate in tutta la
loro regalità e il loro splendore.
C’è il fedele funzionario Pier delle Vigne, ci sono i guerrieri e i personaggi riconducibili alla sfera politica
del sovrano, ma ci sono soprattutto le sue donne: la madre Costanza d’Altavilla, la prima moglie Costanza d’Aragona,
Iolanda di Brienne e Bianca Lancia con cui ebbe una storia.
In questo suo discorso innovativo, Domenico Pinto è partito dalle tradizionali “pupe” grottagliesi, bottiglie dalla
figura femminile nelle quali si conservava il rosolio e le ha trasformate in personaggi federiciani modellando
sapientemente la terracotta, curando i dettagli, giocando con il simbolismo; anche le capigliature, il disegno
delle stoffe e la ricostruzione dei gioielli sono frutto di uno studio che va avanti da sette anni.
Per questa collezione federiciana, la quinta in ordine di tempo, l’artista ha modificato in parte il procedimento
di lavorazione puntando molto sui colori; le vernici alcaline adoperate, infatti, conferiscono alle figure una
grande lucentezza e poi la tecnica cosiddetta del terzo fuoco che punta sull’applicazione dell’oro zecchino cotto
a 700, tra l’altro adoperato con discrezione e solo nelle zone giuste, si rivela quanto mai efficace e dà grande
risalto ai particolari.
La ricerca avviata dall’artista non si esaurisce qui; il sogno di Domenico Pinto di far affermare la cultura
pugliese, dando alla ceramica un senso, una storia e una identità, è quello di arrivare a produrre l’oggettistica
medievale riferita al mondo dell’imperatore Federico II; in questo modo si porterà avanti anche il discorso, già
avviato, del recupero della memoria storica se si considera, tra l’altro, che il luogo dove oggi sorgono le 41
botteghe d’arte grottagliesi – chiamato Quartiere Giudecca – è la zona dove proprio Federico II, con un editto
del 1213, fece sistemare gli Ebrei che qui conciavano le pelli e soprattutto lavoravano la ceramica.