Catanese di origine, ma siracusano di adozione, inizialmente si forma teatralmente nella fucina del teatro classico siracusano degli anni sessanta e nel ’61debutta ancora adolescente in “Edipo Re” con il Teatro Drammatico di Siracusa.
Catanese di origine, ma siracusano di adozione, inizialmente si forma teatralmente nella fucina del teatro classico siracusano degli anni sessanta e nel ’61debutta ancora adolescente in “Edipo Re” con il Teatro Drammatico di Siracusa.
Dal ’66 al ’68, ancora giovanissimo, gira l’Italia con sconosciute compagnie di mestieranti e, durante alcuni soggiorni romani, prende parte a numerosi stage nello Studio Teatrale di A. Fersen. Rientrato a Siracusa, dalla primavera del ’69 al ’71, entra a far parte della compagnia del Teatro d’Arte di Siracusa diretta da Renzo Monteforte (Spettacoli: “La regina e gli insorti” di Ugo Betti, “La Giara” di Pirandello, “La mafia” di G. A. Cesareo, “ Victor o i bambini al potere” di R. Vitrac), con il quale debutta anche al Teatro Stabile di Catania, prima come attore ne “Il Re muore” di E. Jonesco e poi come aiuto regista dello stesso Monteforte in “Aspettando Godot” di S. Beckett; Successivamente, in veste di attore, collabora anche con la Compagnia Stabile del Teatro di Sicilia, prendendo parte agli spettacoli: “Assassinio nella Cattedrale” di T. Eliot. e “La Mandragola” di Machiavelli al fianco di Michele Abruzzo.
Nell’autunno del ’71, assecondato da un gruppo di giovani neo – attori siracusani, fonda il “Teatro Giovane” (oggi TeatroG ) e da vita al primo dei sette “teatri alternativi” istituiti dagli anni ad oggi a Siracusa e non solo.
Con la compagnia Teatro Giovane Cesare Politi inizia il percorso di teatro di base non istituzionalizzato, esordendo, con immediati e significativi riscontri di pubblico e di critica, nella duplice veste di attore-regista.
Nelle sue prime realizzazioni è evidente un certo interesse sul rapporto fra natura e l’uomo, e proprio dalla posizione di assoluta dipendenza di quest’ultimo nei confronti della prima, egli riesce ad approfondire la sua indagine nella natura mediante uno stile teatrale personalissimo, suscitando non poco scalpore e interesse critico.
Sono di quegli anni le prime sue significative realizzazioni: “ Escuriale” e “ La Scuola dei Buffoni” di M. De Ghelderode; “Orfeo” di J. Cocteau; “ Finale di partita” di S. Beckett; “Oplà, ecco il mondo: quinto non ammazzare” di C. Politi; “ La cantatrice calva” e “Assassino senza movente” di E. Jonesco; “ L’Anitra Bianca” di S. Bajini; etc.
Dal 1970 al ’80, sono per Politi anni di sperimentazione, di ricerca, di “teatro laboratorio”, di training e di “teatro povero”.
Questo lo porta a seguire più da vicino i movimenti teatrali ispirati dalla cittadina romagnola di Santarcangelo, nutrendosi anch’egli dei maestri Jerzi Grotowski, Peter Schumann e Julian Beck; non tralasciando gli approfondimenti verso filosofie ed espressioni teatrali di altri paesi, con particolare attenzione al teatro Polacco e Giapponese ( “No” ).
Sono gli anni in cui le tendenze che la moderna regia europea veniva via via elaborando, lo spingono a far propri i motivi di polemica del teatro naturalista contro la commedia borghese. In tal senso, sono di quel periodo per Politi gli scambi culturali ed i contatti più significativi: Living Theatre di N. Y. ; Carmelo Bene; Dacia Maraini; Stefano Mastini: Teatro Strumento di Roma; Valentino Orfeo (Roma); Gianni Scuto: Studio Gamma (Catania); Nello Pappalardo: PapCab (Catania); Beno Mazzone: Teatro Libero di Palermo; ed altri.
Sul finire degli anni ‘70, come, per certi aspetti, aveva a suo tempo fatto il polacco Leon Schiller con la le ragioni del teatro puro di Gordon Craig, Politi decide di elaborare le teorie di Stanislavskij per identificarle, ancora oggi, in un teatro naturalista immune da accademismo.
Nel 1987, egli crede sia giusto tramandare ai giovani le sue teorie e tecniche teatrali, dando vita a Siracusa (oggi con sedi anche a Catania e Modica) ad un laboratorio teatrale denominato “Scuola d’Attore”, dove iniziano il loro percorso artistico molti giovani, oggi validi attori e registi tra i professionisti Italiani.
Nel 2000, con una particolarissima realizzazione di “ Edipo Re” di Sofocle, al Teatro Greco di Palazzolo Acreide, segnò la sua centesima regia.
Nelle vesti di regista-attore, ha svolto e svolge una intensissima attività teatrale e artistico-culturale, trasferendo spesso le proprie esperienze anche nell’aggregazione giovanile (istituti scolastici di vario grado) e nel sociale (istituti detentivi per adulti e di recupero minorile).
Nonostante la mole di attività svolta, l’umiltà è sempre stata la forza di Politi. Non a caso è critico con chi utilizza il teatro per fin i lontani dai principi che lo ispirano e animano, amando stare alla larga dalle faziosità intellettualistiche e dai compromessi professionali accattivanti.
Il suo teatro è tutt’oggi pura ricerca dl rapporto natura-uomo-società, con la giusta apertura polemica che gli consente di non cadere nella retorica e nello scontato.
Ecco uno stralcio di un’intervista da lui rilasciata a “SIPARIO” – il Mensile Italiano dello Spettacolo – Luglio ’77:
«(…) pur tenendo presente i mie i trascorsi di ricerca e di sperimentazione teatrale, oggi sono, in un certo senso, legato alle convenzioni dell’arte teatrale. Questo non significa però che le mie realizzazioni si riducano a delle formule e limitino l’attore in questo cerchio. In effetti queste convenzioni non sono né restrittive, né statiche , ma servono a dare una certa forma realizzativa. Agli attori tocca poi dargli vita. E’ certo che per arrivare a questo essi devono dare alla loro arte l’apporto della loro conoscenza della vita stessa. (…) Bisogna cercare quotidianamente i presupposti per attuare delle riforme. Partendo dall’esperienza che accumuliamo dell’arte moderna e della moderna conoscenza, cercare di dare al teatro una vita nuova , un nuovo sviluppo, avvicinarlo ai pensieri e alle problematiche contemporanee, adattando le nostre produzioni teatrali alle esigenze dell’uomo della strada. (…) Senza trascurare i criteri artistici, bisogna sempre essere consapevoli che se l’attore ha da essere “ poliedrico ”, dall’ altro lato può pretendere dal pubblico maggiore disponibilità sui molti aspetti delle percezioni teatrali.»